La civiltà del ballo in Romagna

L’interesse della musica da ballo romagnola risiede probabilmente proprio nel fatto che sia stata oggetto di una innovazione continua e inevitabilmente di infiniti e ricorrenti plagi. Così come è accaduto alla cosiddetta “sociabilità’” politica otto e novecentesca, che ha dato luogo in Romagna ad un fenomeno di “folklorizzazione della politica” (37), uno degli altri aspetti originali e peculiari che più connotano la fisionomia dell’identità romagnola. Etnomusicologi e cultori della tradizione popolare musicale hanno concordato nel lamentare la scarsità di documentazioni e testimonianze di pratiche musicali e coreutiche andate prevalentemente disperse, travolte dalle spinte di una modernizzazione dai tratti accelerati. L’origine colta, le numerose contaminazioni, la diffusione legata ad aspetti commerciali e turistici l’hanno tenuta distante ed emarginata da un interesse di indagine e riflessione in quanto fenomeno ibrido, risultato di innumerevoli apporti, commistioni e contaminazioni che comprendono la musica da ballo mitteleuropea, i riadattamenti di bande, orchestre e orchestrine, gli influssi dei balli staccati della tradizione contadina, del jazz e dello swing, dei ritmi afroamericani. In un periodo in cui alle dilaganti folklorizzazioni corrispondeva il rigore professionale e disciplinare di folkloristi e demologi, un periodo che ha coinciso con la transizione da una dimensione della musica da ballo romagnola, contestuale e territoriale, al generico “liscio”, l’etnomusicologo Roberto Leydi aveva intuito e dichiarato che il liscio meritava di essere indagato e interpretato, come fenomeno popolare e non folklorico (38).
Eppure, da oltre un secolo e mezzo a questa parte, questo genere di musica e di ballo non ha mai smesso di rincorrersi e di rincorrere il tempo. A differenza di altre tradizioni diffuse in area emiliana e in altre aree italiane settentrionali, che si esauriscono nell’impatto con i conflitti mondiali o con i processi di modernizzazione e industrializzazione del secondo dopoguerra (39), la musica da ballo romagnola non solo si afferma come genere ma imbocca la strada dell’impresa. L’evolversi e il permanere di un fenomeno strutturato in una complessa filiera di attività, professioni ed attività commerciali ne ha offuscato l’aspetto di consistenza e di imponenza sociali, di un vero e proprio spaccato di civiltà che ha permeato percorsi e situazioni di intere collettività. Se si è individuato e teorizzato un “caso Romagna” come laboratorio di sperimentazione di modelli esemplari per l’intera nazione; se l’identità estroversa della Romagna ha dato luogo a processi di nazionalizzazione che ne hanno esportato modelli e stereotipi ma anche esempi incomparabili di sociabilità e costume politico: ebbene, questo è anche il caso della musica da ballo romagnola, che ha rappresentato un genere musicale, un modello di aggregazione, un cardine dell’associazionismo politico; che ha dato impulso al tempo libero, alla vacanza, al turismo attraverso centinaia di orchestre, scuole di ballo, ballerini, locali, impresari, autori, edizioni musicali, manifestazioni di ogni genere, oltre a un indotto sterminato raccolto attorno ad una vera e propria industria. Un caso che oggi appare meno “aberrante” nella sua evoluzione consumistica e nella degenerazione conseguita al dilagare della fortuna del genere negli anni Settanta e Ottanta, perché rappresenta a sua volta una parte consistente di una vicenda sociale definitivamente conclusa. Il temuto “rischio di convincere le classi popolari a identificare la propria cultura tradizionale con la musica consumistica del liscio, con il mito del Passatore e con le canzoni dei Canterini romagnoli” (40), previsto da ricercatori ed esperti della tradizione popolare e folklorica, probabilmente è oggi attenuato dalla più pesante constatazione che le classi popolari non esistono più – o meglio che se ne è creata una nuova fisionomia sincretica e irriconoscibile -, che le culture popolari non sono più attribuibili e identificabili sulla base di metodologie e categorie impiegate sino a qualche decennio fa, e che la loro memoria fortunatamente sopravvive in tante raccolte e archivi che resistono nella pur crescente difficoltà di divulgare e comunicare. Unitamente alla rimozione della memoria, e agli eccellenti ma non abbastanza efficaci tentativi di conservarla, si sono esaurite ed evolute passioni, attrazioni, appartenenze, permeate non solo di consuetudini ma di ideali e di sentimenti, quelli che hanno permeato e identificato il loro tempo, come lo ha fatto Zaclèn con la sua musica indiavolata, come lo ha fatto Secondo Casadei, l’uomo che sconfisse il boogie, come lo hanno fatto tante eccellenti orchestre del liscio romagnolo. Ogni passaggio di questa evoluzione ha definito e distinto un periodo, ha prodotto e lasciato testimonianze che, come continua ad accadere per le migliori tradizioni musicali, sarebbe ingiusto non far riconoscere e rivivere per ciò che hanno rappresentato nelle loro eccellenze coreutiche e musicali, oltre che nella vita sociale e collettiva.