La civiltà del ballo in Romagna

Il fatale connubio dell’anima collettiva fra ballo e politica

La passione irrefrenabile, la parvenza e la sostanza orgiastiche che il ballo di coppia assume nell’orizzonte popolare contiene qualcosa di ancestrale: gli aspetti di scatenamento, di esaltazione del movimento fino al parossismo, gli atteggiamenti quasi iniziatici che preludono al superamento della prova, di ostentazione, di abbandono, di frenesia, implicano forti legami con la sfera erotica e edonistica ma anche con quella rituale di marcata connotazione laica e civile, politica e collettiva.
Dagli anni della dominazione francese ogni conquista, ogni vittoria, ogni momento cruciale per la collettività, ogni passaggio sovvertitore e rivoluzionario, ogni anniversario popolare solenne era accompagnato dal ballo. Dalle “gioconde carole” alle danze sfrenate dei giacobini intorno ai simboli della libertà, dai tripudi dei girotondi a quelli dei veglioni, dei balli e delle feste in occasione di vittorie risorgimentali, della Repubblica romana, dell’unità della nazione, il rapporto fra danza e politica ha seguito una connotazione speciale in Romagna, dove le aspirazioni ideali collettive avevano abbracciato già oltre un secolo fa il ballo di coppia, dove i sodalizi di partito si stavano diffondendo a macchia d’olio e non esisteva un paese che non avesse, insieme alla sua orchestra, il suo circolo, dove non si compiva un gesto politico che non fosse all’insegna del ballo, dove il ballo era divenuto lo scenario di un’umanità compatta che allo scandire di un segnale noto e prestabilito, l’attacco della musica, si trasformava in una moltitudine che, seguendo il percorso di un rituale conosciuto e condiviso, assecondava un impulso irresistibile e inesauribile, sino allo sfinimento, delle forze e dei sensi, alla catarsi finale.
Il partito repubblicano e ancora di più quello socialista, si avvalgono largamente di forme e modalità aggregative della tradizione popolare e folklorica, rifondandole poi in una complessa ed efficace “liturgia laica” non poco debitoria alle sagre paesane di matrice religiosa e ai riti gioiosi del carnevale contadino. Ma “è soprattutto del ballo che la sociabilità socialista si appropria, estendendone il carattere di massa e facendone l’unica e vera ‘passione’ popolare che, almeno inizialmente, non sia il frutto di un’imitazione degli svaghi borghesi” (16). Un episodio marginale della provincia romagnola di fine Ottocento è a tal proposito indicatore, come quella dei “Balach”, di una mentalità e di un costume. I socialisti forlivesi del Circolo popolare democratico se la prendono sulla stampa con i liberali del Circolo cittadino che in occasione del carnevale introducono nella “tradizionale” nota dei balli le “novità” della quadriglia, dei lancieri, del cotillon, che sono in realtà vecchi balli residui di una consuetudine elitaria ormai dimenticata: “Noi saremo, in questo retrogradi, ma ci divertiamo al Circolo popolare democratico, dove di balli figurati non si parla. Si tenta di imbastardirlo questo povero circolo, ma speriamo che non vi si riesca” (17). È sorprendente che a tal punto i socialisti si fossero identificati nel ballo di coppia da ritenerlo una tradizione propria e da definirsi “retrogradi” in quanto difensori di una “tradizione” costituita in realtà da una innovazione borghese.