La civiltà del ballo in Romagna

Tradizione folklore folklorizzazione

Vicende che paiono ancora recenti si avviano ormai a diventare storia, una storia che per lo più potrà essere raccontata da chi l’ha vissuta, non leggendaria come quella del secolo che l’ha preceduta ma altrettanto intensa e soprattutto, nel bene e nel male, legata alla precedente senza interruzione, una storia che soltanto la Romagna può raccontare. Una storia che ha visto il culmine e la decadenza insieme di un sistema musicale complesso, di una filiera che si chiama liscio, che ha coinvolto e permeato ogni ambito della vita e del lavoro, della società e della mentalità, delle abitudini e delle consuetudini, dell’immaginario e dei sogni. La storia di centinaia di orchestre che da colossi viaggianti sono diventate piccole formazioni sostenute da basi musicali registrate, di scuole di ballo che si sono rifugiate nei palazzetti dello sport, perseguendo un ideale di perfezionismo e di competizione che ha finito per disertare e disperdere la socialità delle balere; la storia di altrettanto numerose balere chiuse, dancing, villini, giardini estivi ceduti alla cementificazione; la storia di ambienti, contesti, situazioni, comportamenti individuali e collettivi, di galatei, rituali di incontro, di corteggiamento, di seduzione, di figure e personaggi che hanno popolato il mondo e i ritrovi del ballo: il seduttore, il vitellone, il “birro” romagnolo, che appartengono a memorie e a codici tramandati e non scritti e che pure hanno permeato la mentalità e le consuetudini di generazioni.
La musica da ballo romagnola non appartiene al folklore ma ad un patrimonio di evoluzione di pratiche e gusti musicali che si sono intrecciati con le ricorrenze festive, di aggregazione e del tempo libero, con una frequentazione di ambienti, di socialità e di ispirazioni collettive che ne hanno fatto, unitamente al suo ballo, un lungo episodio di civiltà.
È da considerarsi una tradizione popolare, intanto perché, al pari di tante altre come tali riconosciute, è stata malvista, osteggiata, combattuta, per almeno un secolo e in modalità differenti da quelle che una volta si chiamavano le classi egemoni, nel caso romagnolo temuta da tutti gli apparati dirigenti dei governi e da alcuni partiti, per non parlare della lotta che sia lo stato liberale che la Chiesa gli hanno ingaggiato contro in quanto ritenuta una minaccia, rispettivamente nei confronti dell’ordine pubblico e della moralità cattolica (32).
Proprio perché ne conosciamo le origini, che non si perdono nella notte dei tempi ma risalgono al periodo unitario e postunitario della nazione, sappiamo anche in che modo e attraverso quali processi un fenomeno di musica e di ballo di matrice colta sia divenuto patrimonio privilegiato dei ceti popolari. Del resto, nelle campagne austriache del Settecento era praticato un ballo, chiamato Ländler, che è poi divenuto il colto e borghese valzer viennese degli Strauss.
Con altrettante tenacia e rapidità, la musica da ballo romagnola è stata oggetto di un processo di folklorizzazione: “I romagnoli, anziché farsi rappresentare da un autentico patrimonio musicale popolare che andava esaurendosi, hanno preferito scegliere un repertorio, giovane di qualche decina d’anni, certamente più accattivante e rispondente alle nuove emergenze mondane” (33) e, aggiungo, lo hanno fatto consapevolmente. Anche se, forse più della musica, il ballo è debitore di non poche mutuazioni dai balli popolari staccati. Quando l’antropologo Ernesto de Martino inizia a condurre le sue campagne di documentazione in Puglia, in Lucania e in Basilicata, scoprendo culture ataviche e sommerse come il tarantismo, il mondo magico, il pianto rituale, registrando voci, suoni, testimonianze di una cultura tradizionale ancora viva e praticata (34), in Romagna analoghe campagne di ricerca del folklore coreutico e musicale davano luogo alla sorprendente scoperta che la tradizione popolare musicale consisteva nella musica da ballo: non a caso, dopo vent’anni di fascismo in cui si era operato un processo di snaturamento e falsificazione della cultura popolare identificata con le cante, le corali, i gruppi in costume (35), non era invece riuscito il tentativo di manipolare l’eredità musicale, popolarissima e proseguita a lungo dopo la sua morte, di Carlo Brighi, fervente proselita del socialismo rivoluzionario, come la sua musica (36).