La Romagna di “Romagna mia”

A proposito di musica e di nostalgia: Marcel Proust, uno degli scrittori della nostalgia come rievocazione del ricordo per antonomasia, così si è espresso nel suo Elogio della cattiva musica: “Non disprezzate la cattiva musica [nel senso della musica popolare]. Siccome essa si suona e si canta molto più appassionatamente della buona [nel senso della musica classica], a poco a poco essa si è riempita del sogno e delle lacrime degli uomini. Per questo vi sia rispettabile. Il suo posto è immenso nella storia sentimentale della società. Il ritornello che un orecchio fine ed educato rifiuterebbe di ascoltare, ha ricevuto il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite di cui fu la consolazione sempre pronta, l’ispirazione, la grazia, l’idea” (8). Facendo un balzo in avanti di un secolo incontriamo un pensiero attualismo e non partigiano: “Se aver saputo creare un’iconografia e un suono inconfondibili conta qualcosa, se averci costruito intorno un’autentica industria conta qualcosa, se la sfacciataggine di cancellare dalla memoria collettiva tutto quello che di musicale preesisteva in quella terra conta qualcosa, se aver dato una spallata agli incancreniti costumi sociali e sessuali di un intero Paese conta qualcosa, allora il liscio romagnolo non è solo il country italiano, ma forse la sola forma di musica rock che l’Italia abbia mai prodotto […] e se non si capisce la Romagna, non si può capire il liscio” (9). Di sicuro Proust aveva conosciuto la musica degli Strauss e i ballabili che furoreggiavano in Europa nel corso della sua breve esistenza. Chissà con quali parole avrebbe coniugato il sentimento della nostalgia con l’interpretazione musicale di una terra come la Romagna, ma se avesse conosciuto questa musica avrebbe aggiunto al sogno e alle lacrime l’ebbrezza della passione e della gioia. E allora non chiamiamola folklore né liscio questa musica da ballo che è divenuta a sua volta un’isola dell’immaginario e del sentimento. Il 1954, l’anno dell’incisione di Romagna mia, coincide con la campagna che l’etnomusicologo americano Alan Lomax fece in Italia per registrare repertori musicali della tradizione popolare; mentre regioni del sud come del nord portarono alla scoperta di antichi tesori, autentici brani di archeologia musicale, che le successive campagne dell’etnologo Ernesto de Martino avrebbero ulteriormente arricchito ed esteso, dalle aie romagnole emerse ben poco della tradizione musicale e coreutica preesistente al liscio delle origini (10).

Carlo Brighi, detto Zaclèn, era nato in una piccola frazione di Savignano sul Rubicone (allora Savignano di Romagna) nel 1853. Di origini umili, aveva con sacrificio acquisito una formazione musicale che gli avrebbe consentito di suonare nelle migliori orchestre classiche che all’epoca si esibivano soprattutto nei teatri. Ma la sua vocazione è un’altra, dovuta non poco alla natura generosa e alla militanza nel Partito socialista rivoluzionario di Andrea Costa. Così arrangia le musiche degli Strauss in una versione popolare, adatta ad uno stile di ballo che subito attecchisce e dilaga negli ambienti romagnoli, contadini e piccolo borghesi, dei circoli ricreativi e politici, dei borghi, delle campagne e del litorale. Zaclèn è il progenitore della musica da ballo romagnola, quello che, insieme a tante altre orchestre e orchestrine, trasporta e diffonde musiche nate per il loisir borghese dalle città alle campagne (11). Il che non giustifica la supposta identificazione della musica da ballo romagnola come musica delle aie. Tanto più che Secondo Casadei farà esattamente il contrario, portando la sua musica negli ambiti urbani e nei luoghi di vacanza, ancora di prevalente frequentazione aristocratica e borghese, della costa romagnola. Alla fine dell’Ottocento nei luoghi di villeggiatura praticati dall’alta borghesia i balli di provenienza mitteleuropea (valzer, polche, mazurke) già erano passati di moda; le sale da ballo erano invase dai ritmi americani, il boston, il two step, l’one step, come sarebbe accaduto quarant’anni dopo con il boogie woogie. E’ proprio in questo periodo che Carlo Brighi impianta a Bellaria, allora ancora frazione di Rimini, un salone da ballo e un tendone per il ballo all’aperto. “E’ possibile quindi affermare che furono i primissimi anni del XX secolo a sancire il passaggio, dagli ambienti dell’alta società a quelli più popolari, di quella musica che andrà a costituire le fondamenta di un genere chiamato caparbiamente ‘folk romagnolo’ (12).