Il diario inedito

Aveva dei momenti in cui diventava un po’ strano, non era il babbo di sempre, che era sempre molto aperto, espansivo, compagnone. Diventava strano e allora era il momento in cui aveva gli spunti in testa, si ritirava nel suo studio, stava lì tutta una giornata, o comunque il tempo necessario per buttare giù gli spunti che gli erano venuti. Poi li completava anche un anno o due dopo, però non se li voleva far sfuggire. E quando usciva era diventato il babbo di sempre, cominciava a chiacchierare, a scherzare, sereno, molto allegro. Diceva che a lui sembrava d’impazzire quando aveva questi momenti.
Una volta si è arrabbiato con me perché ogni tanto quando componeva qualcosa ce la veniva a far sentire, la canticchiava con la chitarra. Viene nella mia camera e dice: “Senti che cosa ho scritto, però c’è qualcosa che non mi convince”. Allora me la canta “Babbo – io dico – ma questa è I love Paris, Amo Parigi, “Amo l’aria di Parigi…”. Dal nervoso prese tutto il portapenne di terracotta, lo scagliò contro il muro e lo ruppe in mille pezzi. Poi me ne ha comprati sette otto (10).

Così come non gli era mai mancata la curiosità di vedere e di ascoltare tutto ciò che aveva attinenza con la musica e il suo mestiere, amava la musica lirica, la classica, era innamorato del jazz e da queste suggestioni traeva le sue ispirazioni musicali ma anche la capacità di arrangiatore e il fiuto di ingaggiare quelli che erano o sarebbero diventati i migliori suonatori, a cui non faceva audizioni ma che cercava di conoscere anche sotto il profilo del carattere.

Quando frequentava questi mercati degli orchestrali si rendeva conto della validità di un musicista chiedendo, informandosi con l’uno, con l’altro, con un altro capo orchestra oppure con un altro collega. Non credo che andasse a sentirli i musicisti personalmente, quando decideva di prendere qualcuno prima se lo studiava, studiava il carattere, parlava molto, si trovavano a mangiare, a passeggiare (11).

Sguardo vivace e pungente, venato da una punta di malinconia, baffetti scuri sempre curati alla Clark Gable, divise inappuntabili; sorriso amabile, aperto, sempre pronto; temperamento ottimista, affabile, gentile, con una inclinazione per lo scherzo e la novità, inventivo, rigoroso, eppure schivo e antidivo, anche quando parlare di Secondo Casadei in Romagna era come parlare di Frank Sinatra in America o di Verdi e Toscanini a Parma. Potremmo aggiungere alle tante definizioni attribuite: Secondo Casadei uomo della musica e signore del ballo, ma soprattutto Casadei il galantuomo, una parola ormai scomparsa dal nostro linguaggio quotidiano. Amante delle sue piante, della natura, delle passeggiate in collina, dove si faceva accompagnare dalla adorata e adorabile Cadòcc, “Riccarduccia”, la figlia Riccarda. All’improvviso notava qualcosa che lo colpiva e che lei non vedeva, impaziente di raggiungere i suoi amici in città o al mare; chiedeva di fermare l’auto in un punto preciso e: “Guarda com’è bella la Romagna! Ma saremo stati fortunati a esser nati qui?!”


Note
1. Intervista a Riccarda Casadei, Savignano sul Rubicone, 23 aprile 2014
2. Ibidem
3. Ibidem
4. Ibidem
5. Ibidem
6. Ibidem
7. Adler Raffaelli, L’Orchestra Casadei, “Il Forlivese”, n. 12, 10.9.1963, San Martino in Strada
8. Intervista a Riccarda Casadei, cit.
9. Ibidem
10. Ibidem
11. Ibidem