I luoghi di Secondo Casadei

I luoghi di Secondo Casadei bambino e adolescente sono quelli della campagna mezzadrile e contadina, di una pianura che guarda alla collina e al mare, di paesi e cittadine occhieggianti nell’entroterra e quasi abbracciate nelle brevi distanze che le separavano; di un reticolo di acque e di strade convergenti al Rubicone degli antichi, all’asse principale della via Emilia, al litorale adriatico fiancheggiato dall’altro importante tracciato viario della Romea. Sono le case e le aie contadine frequentate come aiutante del babbo sarto e in occasione delle veglie, delle feste familiari e di fine raccolto. Malgrado la dimensione del mondo contadino fosse in primo luogo quella del lavoro e della sopravvivenza, le opportunità per il ballo non mancavano e lo testimonia il ricordo di Casadei tredicenne che non perdeva occasione per andare ad ascoltare furtivamente le orchestrine che si esibivano di frequente nei luoghi più reconditi di un territorio facilmente raggiungibile da una borgata all’altra, da un podere all’altro, in un periodo che, dalla seconda metà dell’Ottocento all’avvento del fascismo, ne ha visto la massima espansione. Le ricorrenze erano quelle della scansione del calendario agricolo e dell’avvicendarsi delle stagioni: dopo la mietitura, tra fine giugno e la prima settimana di luglio, si riaprivano le sale da ballo: “Dalle campagne che da Santarcangelo in poi si allargavano per tutto il riminese si calava giù al mare. Invece da Savignano verso il cesenate, da Borghi, Longiano, Montiano, si andava a ballare alle Felloniche da ‘E mulnarein’ perché una volta c’era il piccolo mulino poi abbandonato per scarsezza d’acqua. Oltre alle Felloniche, si ballava da Ganghen, da Renzi della Canonica, dalla Viroccia a Poggio Berni” (2). I pomeriggi e le sere di luglio si ballava all’aperto la domenica, al mare tutte le sere. In autunno si iniziava con le feste e le fiere, le prime addirittura in settembre, grandi raduni di allevatori, di commercianti e di animali; di ambulanti, girovaghi e cantastorie; occasioni di passatempi e giochi, di scambi e di acquisti, di indulgenza al cibo e alle osterie, a fronte di una quotidianità che poco concedeva. Non mancavano i locali da ballo, dove si iniziava a metà mattinata e si proseguiva per tutta la giornata fino a mezzanotte. Si ballava nelle sale cinematografiche, nei saloni comunali, nei circoli ricreativi e politici dei repubblicani e dei socialisti, divenuti poi case del fascio, oltre che in luoghi privati attrezzati per l’occasione. Le donne non pagavano mentre per gli uomini vigeva la modalità de bal de bajoch. Il calendario rituale contadino era scandito dagli eventi principali dell’esistenza (nascita, matrimonio, morte), dall’avvicendarsi dei lavori agricoli stagionali (spannocchiatura, mietitura, trebbiatura, vendemmia), dalle ricorrenze rituali e festive (Epifania, Sant’Antonio, Carnevale, feste patronali, sagre, fiere). Con carattere episodico ma ricorrente, il ballo era in ambito popolare una sorta di filo conduttore dell’esistenza, che si era alimentata, tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e il primo del Novecento, degli appuntamenti di un calendario parallelo, civile e laico, quello delle inaugurazioni di bandiere e sedi di leghe, circoli, sodalizi politici; dei genetliaci e degli onomastici degli apostoli dei nuovi credi politici, dei padri della patria e della repubblica, degli anniversari della Comune di Parigi e del Primo maggio. Il tempo per eccellenza del ballo era quello del carnevale, ma per antica consuetudine, a compensazione del lungo periodo di astinenza che sarebbe seguito, il carnevale iniziava presto, un esteso contrappunto di occasioni festive da Santo Stefano al martedì grasso, passando per Capodanno e Sant’Antonio abate, protraendosi sino alla mezza Quaresima, con la festa della Sagavecchia che in Romagna interrompeva tradizionalmente il tempo quaresimale. Infine, ogni circostanza era buona per ballare e un romagnolo che non sapesse ballare, soprattutto il valzer, non poteva essere considerato un romagnolo. Così come – rigorosamente in Romagna – il segnale della vecchiaia coincideva con la rinuncia ad andare in bicicletta e a scatenarsi in qualche giro di polca. Così come la ballerina non veniva stretta al petto tanto a scopo seduttivo quanto piuttosto per esibire l’abilità e la prestanza fisica del ballerino: ”Il ballerino più bravo era quello che riusciva a far compiere alla sua compagna il maggior numero di piroette nel minor numero di battute. La compagna non andava sedotta ma sfinita” (3), il che rappresenta per altro una forma di seduzione, “Se nel vortice le gonne non si sollevavano a campana i ballerini perdevano ogni credibilità. Le ragazze dovevano uscire barcollanti da ogni ‘giro’ dell’orchestra senza bisogno di sangiovese (4). Queste consuetudini sono rimaste radicate a lungo: i vecchi romagnoli lasciavano per testamento che il loro funerale fosse accompagnato dal ritmo brioso e incalzante di quei balli che avevano rallegrato e sottolineato i momenti migliori dell’esistenza.

Dopo tre anni di studio Secondo padroneggiava il suo violino ed era conosciuto negli ambienti del ballo. A sedici anni il debutto in orchestra, quella del suonatore di contrabbasso Aurelio Bazzocchi, nella Società di Mutuo Soccorso di Borella di Cesenatico. Il ricordo di quella serata è un affresco dei luoghi del ballo popolare del tempo e del suo contesto abituale, il camerone, una grande sala spoglia, con un palco per l’orchestra impiccato al soffitto, il pavimento in mattoni grezzi, illuminazione a candele, gli stessi pochi ballabili che si ripetevano per l’intera serata: “Eravamo 4 elementi, violino, clarino, chitarra e basso. Avevamo per leggere la musica ognuno una candela appoggiata sopra un’ascia dove stavano le cartelle, in mezzo alla sala un lume a carburo, negli angoli due lumicini a petrolio, che servivano in caso di emergenza se fosse venuto a meno il grande lampadario di centro, un gran fumo che veniva su dal pavimento essendo in questi tempi di mattone grezzo e al mattino eravamo irriconoscibili. Il vestito era diventato di un altro colore, il naso tutto nero ma tutto ciò non destava nessuna importanza sapendo del successo ottenuto durante la notte, nonostante in possesso di 4 suonate e sempre ripetere fino al mattino” (5). Nel carnevale successivo l’invito a Fiumicino di Savignano nell’orchestrina di Angelo Baldacci, detto Scanapein, a suonare per quattro giorni di fila dal sabato al martedì grasso: “Queste serate erano organizzate da un gruppo di soci e facevano pagare un soldo ogni ballo, alla fine poi di ogni ballo tiravano la corda, come si diceva allora, si mettevano ai lati della sala e qualcuno in mezzo, in modo che non passassero sotto le corde per non pagare e fuori un soldo per uno per aver il diritto di fare un altro ballo. Facevano degli urli come impazziti: ragazzi fuori i soldi e man mano che pagavano passavano dentro; mi ricordo che quei ragazzi che passavano sotto così come tradimento prendevano delle sberle ed erano portati subito fuori. Non appena finito questo controllo incominciavano urlare contro l’orchestra… Via, via, suonate e tenetele corte” (6).